Paola Santarelli, imprenditrice. Il bello degli affari

Di Angelo Bucarelli


Paola Santarelli, imprenditrice nel settore delle costruzioni come da tradizione familiare paterna e materna, laureata in Economia e Commercio, ha ricevuto diversi riconoscimenti per essersi distinta nella sua attività e il 2 giugno 2010 il presidente della Repubblica le ha conferito l’onorificenza di cavaliere del lavoro. Dopo la scomparsa di suo padre nel 1999 ha preso in mano le redini dell’azienda di famiglia…

Ambedue le famiglie di origine, paterna e materna operavano nel settore delle costruzioni, private mio padre, pubbliche mia madre. Ho sempre avuto un ottimo rapporto con mio padre che mi ha stimolato ad avvicinarmi fattivamente al mondo del lavoro. Cosi appena laureata, a 22 anni, mi sono gettata con determinazione nella nostra attività.

Ma come ha affrontato un mondo tradizionalmente e decisamente maschile, se non maschilista, come il comparto delle costruzioni?

Beh, fossi stato un ragazzo, sarebbe stato più facile. All’ inizio ho pagato lo scotto di essere una giovane donna e, perdipiù,  figlia di famiglia, ma presto ho raggiunto la parità e sono riuscita a farmi prendere sul serio. Ho cominciato a lavorare con mio padre già prima di laurearmi e, quindi, ho potuto continuare il suo lavoro e anche ampliarlo e adeguarlo per mantenerne lo sviluppo.


E’ per questo che nel 2010 è stata nominata cavaliere del lavoro…

Sì. Sono stata la donna imprenditrice più giovane fino a quel momento ad aver meritato tale onorificenza. Ne sono molto orgogliosa. 

Accanto al business ha ereditato anche la passione per l’ arte…

In verità, la linea maschile della famiglia paterna, mio nonno, mio padre, mio fratello e ora i suoi figli, ha sempre nutrito la passione per il vino, con l’affermata azienda vinicola laziale Casale del Giglio. La linea femminile della famiglia materna, invece, si era dedicata all’arte. Già mia nonna, poi mia madre, io stessa e ora anche mia figlia Vittoria, di recente laureata in Storia dell’arte, abbiamo raccolto una ricca serie di testimonianze marmoree dell’antica Roma. Quando le ho ereditate, erano poche opere e tanta passione. Ora, con il mio impegno, la collezione è diventata una testimonianza, ampia e rappresentativa della storia di Roma. Da quando sono scomparsi i miei genitori, con i miei fratelli, abbiamo creato una fondazione dedicata a loro di cui io sono presidente e mia sorella Santa segretario generale. Siamo impegnati a creare un gruppo più consistente possibile di opere romane, dall’epoca tolemaica all’ottocento, cercando di riportare nella Capitale le opere  disperse nel mondo e di salvaguardare il cammino di quelle alienate da altre raccolte d’arte. Curiamo mostre e pubblicazioni, promuoviamo borse di studio per divulgare la storia artistica di Roma, cerchiazmo di rendere le opere fruibili agli studiosi e agli appassionati d’arte. Siamo orgogliosi, in particolare, di aver concesso cinque anni fa in comodato gratuito, con allestimento e apparato didattico inclusi, la nostra collezione di glittica, oltre 600 opere che spaziano nell’arco di cinque millenni, ai Musei Capitolini, il museo più antico del mondo.

Da pochi mesi è anche la maggiore azionista di Roberto Capucci, il grande couturier. Ma che c’entra Capucci con le sue passioni e il suo business?

Con il business nulla! Con l’arte molto. E’ innegabile che la moda di Capucci abbia un grande senso artistico e notevoli affinità proprio con la scultura. Mia madre vestiva Capucci e sia io sia mia sorella ci siamo sposate in Capucci. Roberto è un amico di famiglia e quando mi ha chiesto di essere al suo fianco per gestire la sua attività, nata 65 anni fa, e una fondazione che custodisce 450 abiti di alta moda e 62mila disegni originali, non mi sono certo tirata indietro, anche per proteggere l’italianità dell’azienda, una delle poche ancora con queste caratteristiche.

Che cosa si attende da questa nuova impresa?

La nostra cultura e la qualità della nostra vita scaturiscono dall’esperienza dell’eccellenza e dalla ricerca di successo. La Maison Capucci è un esempio virtuoso di creatività, alto artigianato e produzione compiutamente italiani da salvaguardare con attenzione e orgoglio. Avviando il pret-a-porter potremo far godere di questa arte un pubblico più ampio e apportare beneficio al mercato della moda nazionale.

Ritiene azienda, collezione e Capucci tre aree sinergiche o parallele?

Come dicevo l’impresa rimane a parte, è cosa diversa da collezione e Capucci, anche se ne può ricevere un beneficio indotto e generale, e al tempo stesso sostiene la collezione. La collezione e Capucci con le due fondazioni si integrano ed esaltano a vicenda anche con innovazione culturale. La nostra collezione, credo contribuendo a rappresentare artisticamente il nostro Paese, gira il mondo: Parigi, Basilea, Singapore, Mendrisio, dove 65 capolavori sono ora in esposizione e lo rimarranno fino al 31 gennaio, Madrid e, tra poco, anche quattro tappe in Brasile, dove si potranno ammirare i marmi convivere e integrarsi con gli abiti di Roberto.

Una previsione sulla situazione italiana?

Dopo tempo un lasso di tempo significativo, emergono, oggettivamente, segnali di una inversione di tendenza e sintomi di ripresa. Con tanta forza e buona volontà si stanno facendo riforme necessarie a sconfiggere la pesantezza della macchina burocratica che rende vane le energie spese per  lo sviluppo civile ed economico del Paese. Più che una previsione voglio sperare che l’osservazione corrisponda al vero, sia una constatazione.

Infine, quale sogno desidera veder realizzato?

Il sogno è che l’estro di Capucci, nella sua unicità acclamata, ottenga il meritato riconoscimento anche dal mercato dal pret-a-porter e che il mio intervento possa contribuire a questo nuovo successo.


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