INTERVENTO DI: Sergio Santoro*
La decentralizzazione è, a ben vedere, un fenomeno molto più complesso di quanto possa percepirsi. Agli enti locali sono state trasferite in effetti non soltanto funzioni e potestà amministrative in senso stretto, da esercitarsi con procedimenti amministrativi già di competenza di organi centrali e periferici dello Stato, ma anche compiti di gestire veri e propri servizi pubblici, talora in partnership con i privati.
La "partnership pubblico-privato" può consistere semplicemente in autorizzazioni o concessioni a imprese private a esercitare pubblici servizi che in precedenza erano svolti da persone giuridiche pubbliche in via esclusiva. Oppure può consistere nell'acquisizione di quote di società private dall'ente pubblico o, viceversa, di quote di società pubbliche da parte del privato.
Il partenariato contrattuale si fonda sulla natura negoziale della cooperazione tra pubblico e privato ed è soggetto ad una regolazione di fonte eminentemente contrattuale. Il partenariato istituzionalizzato viceversa si realizza mediante la creazione di un nuovo soggetto, di natura privatistica, detenuto da entrambi i soggetti pubblico e privato, ma controllato, a seconda dei casi, dal primo o dal secondo, e ciò sulla base delle rispettive autonome scelte negoziali dei vari soggetti. Talora è la stessa legge che indica se deve essere il soggetto pubblico ovvero quello privato ad avere la maggioranza di controllo della persona giuridica designata a svolgere il servizio pubblico.
Quindi io non parlerei di trasferimento di risorse e professionalità dal pubblico al privato, ma piuttosto di qualità dei servizi svolti, e del necessario controllo di un organismo indipendente sull’attività del soggetto che in concreto ha il compito di svolgere il pubblico servizio. Quest'ultimo aspetto è quello che in realtà è mancato, dal momento che al complessivo fenomeno delle privatizzazioni non è corrisposto un miglioramento dell'efficienza dei nuovi soggetti cui è stato attribuito il compito di erogare di volta in volta determinati pubblici servizi.
Si prenda a esempio il caso del trasporto pubblico locale, che attualmente è svolto prevalentemente in regime di concessione, e nei grandi comuni dà risultati spesso insufficienti, come a Roma, dove rappresenta il principale problema sia della giunta che dei cittadini.
Il problema è essenzialmente quello di un eccesso di addetti al servizio, un'insufficienza di mezzi e un insieme di risorse sostanzialmente sprecate, e quasi mai ottimizzate attraverso un opportuno outsourcing, soprattutto avvalendosi delle imprese private di trasporto esistenti sul territorio.
Se però al sistema delle concessioni a un'impresa pubblica ereditata da un'azienda autonoma (ente-organo pubblico) si sostituisse quello delle autorizzazioni di imprese private di trasporto, preventivamente qualificate, poste in concorrenza tra di loro, sulla base di rigorosi capitolati o contratti di servizio, probabilmente il costo unitario del biglietto di trasporto potrebbe scendere, il servizio avrebbe maggiore continuità ed efficienza, il cittadino ne trarrebbe maggiore soddisfazione.
I tributi locali sono un altro aspetto dell'inefficienza diffusa nell'erogazione e nella realizzazione dei servizi pubblici.
Il fenomeno più perverso è quello della tassa sui rifiuti urbani: invece di considerare i rifiuti come materie prime, e dunque incentivarne la raccolta per ricavarne risorse con le quali diminuire l'onere per il cittadino di pagare il corrispondente tributo all'ente locale, si preferisce inasprirne la pressione e il corrispondente gettito, preferendo costosi sistemi di smaltimento soltanto per arricchire un apparato decisamente inefficiente. Le imprese concessionarie di tali servizi sono per lo più complici di questa perversa volontà delle amministrazioni locali di aumentare il gettito senza perseguire le diverse strade rivolte al recupero e alla rigenerazione delle materie prime, che oltretutto potrebbero generare ulteriori benefici per l'ambiente, il Pil e il debito.
Gli strumenti amministrativi sono certamente idonei a migliorare l'efficienza dei pubblici servizi, ma debbono essere usati con finalità manageriali, evitando appesantimenti burocratici e separando nettamente i procedimenti amministrativi dalle scelte economiche, evitando che a quest'ultime possano applicarsi vincoli e condizionamenti ulteriori rispetto a quelli che normalmente gli azionisti esercitano sul management delle proprie società di diritto comune.
In queste scelte è necessario bandire ogni forma di condizionamento politico o, peggio ancora, partitico: in pratica l'indipendenza e l'imparzialità della Pubblica amministrazione trovano una diversa forma ed esigenza da realizzarsi proprio nell'esercizio dell'attività di impresa pubblica, anche e soprattutto se svolta in Partenariato.
L'attuale classe dirigente degli enti locali in genere non è mediamente idonea ai compiti che una moderna ed efficiente gestione, sia delle attività amministrative che di quelle di impresa, richiederebbe. Il motivo di questo gap culturale e professionale è molto semplice: la burocrazia comunale si è formata in un ambiente molto simile a quello statale e non si adatta alla moderna realtà d'impresa, che dovrebbe contraddistinguere il management pubblico nelle attività di erogazione di pubblici servizi. Probabilmente il fenomeno si attenuerà con il ricambio generazionale, ma attualmente la situazione è drammatica: il caso Roma e le inchieste, peraltro di gravità non eccessiva, che sono giunte a coinvolgere, per effetto di palese inesperienza, anche unagGiunta come quella del Movimento Cinque Stelle, stanno a dimostrare che le funzioni di internal auditing, controllo, ispezione, vigilanza, risk assessment, follow up e, in generale, di moderna ed efficiente governance delle Pubbliche amministrazioni sono molto lontane dal realizzarvisi concretamente, nonostante si tratti del più grande comune d'Europa e di uno dei più grandi centri di spesa dello Stato italiano.
*Presidente di Sezione del Consiglio di Stato.