LE CONTRADDIZIONI DELLA CITTÀ: FIORENTINI “PIAGNONI”

Di Marcello Mancini

 

Quanti hanno visto in tv la saga dei Medici - anche il film di Dan Brown, Inferno -  si sono fatti l'idea che i fiorentini siano un popolo di cospiratori, traditori, calcolatori, corrotti e cinici. Il peggio del peggio.

A star dietro alle denunce di fra Girolamo Savonarola, il monaco che nel Quattrocento predicava contro il degrado dei costumi proprio della famiglia Medici e dell'edonismo rinascimentale, e per  questo fu bruciato in piazza della  Signoria, Firenze si porta dietro quel marchio, che distingue una città ambiziosa, che s'infischia della moralità pubblica e si dedica alla ricerca della ricchezza e del benessere.

Da un lato, quindi, la dissolutezza del potere, dall'altro la mortificazione del popolo semplice, degli arrabbiati che denunciano e si lamentano. Caratteristica, anche questa, rimasta addosso ai fiorentini, dal tempo rinascimentale, quando i seguaci di Savonarola venivano per l'appunto chiamati  "piagnoni". La Storia dilata l'anima  di un popolo, la lente del tempo aiuta a capire ma allo stesso tempo distorce l'immagine sulla quale si sovrappongono le letture delle generazioni passate. Quindi anche le caratteristiche affilate dei fiorentini di sei secoli fa, sono diventate più dolci  benché conservino le asprezze di un carattere inimitabile.

Per esempio, piagnoni sono rimasti, i fiorentini. Ma spesso con qualche giustificata ragione. Ora, dopo aver vissuto la stagione di potere del giovin signore Matteo Renzi, al quale avevano consegnato le illusioni e le aspirazioni di riscatto, così come avevano fatto con i Medici nel Quattrocento, si guardano intorno per vedere che cosa è diventata Firenze e se quella che hanno provato e  immaginato è gloria duratura.

Sia chiaro, il giudizio che vale per la stagione renziana vista da Roma, non ha ovviamente la stessa dimensione se si misura da Firenze. Il passaggio di Renzi ha lasciato un segno, meno appariscente di quanto si possa immaginare. Non ci sono state grandi trasformazioni urbanistiche, né investimenti degni di un Lorenzo il Magnifico, perché per quattro anni di governo, le scelte legate allo sviluppo, che si sarebbero portate dietro anche grandi polemiche, sono rimaste congelate. Tuttavia il renzismo a me sembra che abbia scosso Firenze, questa città straordinaria che si è incardinata al passato per troppo tempo e si è negata una nuova personalità. Succube di obblighi storici che le hanno impedito ogni impronta di modernizzazione.

I metodi spicci di Renzi sindaco hanno dato una spinta al traccheggio, cambiando almeno il modo di ragionare e dimostrando l'urgenza di decidere. Un sistema di governo che non ha potuto applicare a Roma, dove il presidente del consiglio, non è il "sindaco d'Italia" e dove l'apparato democratico ha altri tempi e altri necessari doveri. E c'è un Parlamento, che non è il consiglio comunale.

Nei decenni passati, Firenze si è incartata nelle polemiche, ostaggio di consultazioni interminabili, delle trattative sindacali, delle concertazioni senza obiettivo. Oggi il sistema dei trasporto pubblico viene gestito privatamente e non ha più il freno a mano tirato sotto ricatto di scioperi e rivolte. Le categorie economiche non hanno più il potere di veto su ogni tentativo di modificare lo status quo, ha prevalso il piglio decisionista di chi viene eletto dal popolo per governare e non per trastullarsi con le chiacchiere intorno a un tavolo. Non si può dire, tuttavia, che Firenze si sia trasformata. O che abbia avuto una spinta verso lo sviluppo che sarebbe stato necessario. Oggi la città è un cantiere aperto, bucherellata da ruspe e trivelle, sta attraversando un percorso accidentato proiettate verso un destino incerto. Immense voragini che avrebbero dovuto preparare la linea sotterranea per i treni ad alte velocità, potrebbero essere inservibili perché le Ferrovie hanno cambiato idea sul passaggio fiorentini. Ma ora che si fa? Si ricoprono tutti gli scavi che hanno sventrato il corpo della città? La stazione della Tav, progettata da Norman Foster, sulla quale anche Renzi da sindaco mise bocca senza successo, è una spesa ritenuta superflua perché potrebbero essere sufficienti le stazioni di superficie che già ci sono, a cominciare da Santa Maria Novella. E tutti i soldi già utilizzati per cominciare i lavori? E i contratti? L'occupazione?

Firenze vista dall'alto, oggi è un paesaggio lunare, nel quale si smarrisce anche il tom-tom. L'unica certezza sono le linea della tramvia di superficie che dovrebbero essere finite e operative fra un paio d'anni, una soluzione osteggiata da parecchi fiorentini ma strategica per consentire la mobilità urbana.

E ci si lamenta per i disagi, perché i fiorentini sono i soliti "piagnoni". Hanno qualche ragione, però. La città che prova a trasformarsi con fatica, chiude il conto con almeno cinquant'anni di ripensamenti. Prendete l'aeroporto, che fa piccoli passi verso il potenziamento, mentre il mondo corre e la piccola Peretola ha le gambe sempre troppo corte. E' insufficiente per il volume e la qualità dei passeggeri. Frena  il turismo ma, quel che è più grave e importante, impedisce soprattutto che le grandi aziende crescano e i grandi imprenditori decidano di investire a Firenze, perché con un aeroporto che due gocce di pioggia fanno chiudere, non ci si può spostare da e per Firenze, con la rapidità necessaria.

Sotto questo profilo, bisogna dire che Renzi ha fatto più da lontano, cioè da Palazzo Chigi, che non da Palazzo Vecchio. Perché i fiorentini hanno riscoperto l'orgoglio di sentirsi al centro del mondo, corteggiati, vezzeggiati, invidiati, concittadini di un nuovo Cavour o di un nuovo De Gasperi. Poi le cose sono cambiate La città è tornata normale e forse così è anche più semplice risolverli, i problemi che si ritrova, senza lo sguardo inquisitorio di Palazzo Chigi. Recuperare il tempo perduto è difficile. Pesa probabilmente il dna di un popolo che non riesce a guardare oltre l' ombelico di piazza della Signoria e si rifugia dentro la propria storia. Aveva ragione sir Harold Acton, illustre anglo fiorentino, che ha attraversato il Novecento da protagonista della vita culturale e mondana: "Mentre il nucleo della Firenze antica rimane intatto alla superficie, la sua atmosfera sociale è completamente cambiata dopo gli anni Trenta. Allora era soavemente cosmopolita. Ora è puramente provinciale".


CONSULTA LA SEZIONE 'ULTIMISSIME', PER LEGGERE TUTTI GLI ARTICOLI DELL'ULTIMO NUMERO DI NUOVA FINANZA

clicca qui