LA STRATEGIA EUROPEA DI FINCANTIERI: BONO PUNTA ALL’AIRBUS DEI MARI

Di Pietro Romano

 

Sembra vicina alla realizzazione la strategia che Giuseppe Bono persegue da lungo tempo. Fincantieri è a un passo dall’acquisizione di una quota significativa e maggioritaria di STX France, i cantieri di Saint-Nazaire controllati dalla STX Offshore&Shipbuildingh, società coreana in amministrazione controllata dopo un crac pluri-miliardario. E, di conseguenza, a un passo dalla creazione del polo europeo dei cantieri navali. Una sorta di “Airbus dei mari”, sulla falsariga dell’alleanza franco-tedesco-spagnola sugli aerei ma, nel caso delle navi, a guida italiana, un’intesa grande a sufficienza da mettere al riparo le conoscenze tecnologiche europee in campo navale nel settore civile e anche militare. Altrimenti? “L’Europa sparisce e sparisce anche ogni possibilità di crescita”, come lo stesso amministratore delegato di Fincantieri ha sottolineato di recente nel corso di un convegno sulla cantieristica navale organizzato dal Cesi (Centro studi internazionali). Dove Bono ha anche tenuto a precisare che “la crescita economica dev’essere sostenuta da idee, coraggio, capacità d’investire, non solo dal denaro e nel settore navale è indispensabile rafforzarsi per competere nel mondo”.

Lungo la strategia del consolidamento europeo l’amministratore delegato di Fincantieri, 72 anni portati con la verve di un trentenne, potrebbe trovare come unico ostacolo lo sciovinismo dei francesi (se di facciata o meno sarà presto chiaro), decisi a detenere nella compagine azionaria una quota minoritaria ma di blocco. Una volontà magari legittima, quella di Parigi, se mirata a difendere gli altrettanto legittimi interessi nazionali (si fosse comportata l’Italia allo stesso modo, in casi simili, il sistema Paese ne avrebbe solo guadagnato, e tanto) ma ottusa se finalizzata a voler comandare in casa d’altri senz’averne i titoli né, come già dimostra la storia di STX, le capacità tecnico-manageriali. Del resto è dal 2008 che i cantieri sono in mani straniere e lo stato francese possiede solo un terzo delle quote. Ma le prossime elezioni presidenziali potrebbero congiurare contro la riflessione e l’evoluzione razionale della vicenda, in barba alle norme europee e ai principi di reciprocità che hanno permesso ai francesi di compiere scorrerie imprenditoriali a raffica nei grassi, e indifesi, pascoli italiani. Si vedrà. In ogni caso, il tempo stringe. Il segretario di stato per l’industria di Parigi, Christophe Sirugue, ha dichiarato all’agenzia di stampa internazionale Reuters che il governo francese non prevede di nazionalizzare STX France, come proposto da ambienti di sinistra e della destra sovranista, ma solo di conservare la minoranza qualificata, e si attende di chiudere le operazioni “in un lasso di tempo assai breve”. 

Il matrimonio italo-francese sarebbe perfetto. Fincantieri è il principale costruttore navale occidentale. In oltre 230 anni di storia ha costruito più di 7mila navi. Oggi il gruppo con sede a Trieste conta venti cantieri nel mondo (otto dei quali in Italia, dove nemmeno la crisi ha fatto chiudere siti) con 19mila dipendenti (7800 nel nostro Paese), ricavi per circa 4,2 miliardi (nel 2015) e ordini, a settembre scorso, per 21,8 miliardi, qualcosa come più di  cinque anni di lavoro con consegne che si estendono ben oltre il 2022.

STX France occupa 2600 addetti e nel 2015 ha fatturato poco meno di un miliardo. Conta su un portafoglio ordini di dodici navi più due in opzione, in grado di assicurare circa dieci anni di lavoro ai cantieri di Saint-Nazaire. Dai quali ha da poco preso il mare la più grande nave da crociera al mondo. Destinata alla Royal Caribbean, è lunga 361 metri, larga 47 e alta 72 per 225mila tonnellate di stazza, e può ospitare fino a 5400 passeggeri e 2100 membri dell’equipaggio. Le dimensioni dei cantieri di Saint Nazaire, più grandi di quelli italiani, permetterebbero di completare la gamma dell’offerta di Fincantieri alla committenza crocieristica.

L’operazione è già stata “benedetta” anche dagli analisti finanziari. Equita Sim osserva che l’accordo “è molto sensato dal punto di vista strategico”. Per Mediobanca Securities la notizia sarebbe positiva tanto più con Fincantieri ad agire “come consolidatore del settore, evitando l’ingresso di altri operatori” magari non industriali puri ma solo finanziari. Per Kepler Cheveux l’intesa “rafforzerebbe la leadership nel settore delle navi da crociera di Fincantieri”, la cui quota di mercato salirebbe “dall’attuale 40/45 per cento al 60 per cento, una concentrazione di mercato destinata ad avere effetti positivi sui margini”. Sul fronte finanziario, infine, Banca Imi rileva che “la potenziale uscita di cassa (per concludere l’operazione, ndr) è pienamente sostenibile da Fincantieri”.

Come l’Airbus dei cieli anche l’omologa del mare non potrebbe arrivare a maturazione senza la parte militare. Al convegno del Cesi già richiamato poc’anzi è emerso che, nel suo complesso, la cantieristica militare navale vale oggi 72 miliardi e occupa 500mila addetti diretti ma tanto la sua incidenza economica quanto il suo ruolo strategico sono destinati a crescere esponenzialmente. La geo-politica dei mari nel millennio in corso ha rapidamente conquistato le posizioni perse in passato e attualmente ha assunto una valenza strategica rilevante e trainante per la cantieristica navale in termini di sicurezza e competitività, oltre che di ritorno economico sui mercati europeo e mondiale. La quota dello stato francese nella nuova Airbus dei mari dovrebbe andare infatti a Dcns, società attiva nelle produzioni navali militari, con la quale Fincantieri collabora al programma Fremm, per le fregate, come in passato al programma Orizzonte per le cacciatorpediniere. Parigi, però, ritiene la produzione di sottomarini nucleari altamente strategica e quindi nell’eventuale nuova società potrebbe pretendere per questa produzione una sorta di divisione schermata da quella che gli americani chiamano “proxy”, tecnicamente separata dalla casa madre e unita solo finanziariamente. Una nuova partita. Che il nostro Paese giocherà, però, forte di Fincantieri, uno degli ultimi campione dell’economia mista italiana, smantellata sciaguratamente negli ultimi vent’anni. 


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