Di Ornella Cilona
E' vera gloria? Come Alessandro Manzoni con Napoleone, investitori e amministratori delegati si chiedono se la norma comunitaria sui bilanci sociali sia un fuoco di paglia o rappresenti un grande cambiamento. Dal primo gennaio del prossimo anno, tutte le maggiori imprese quotate in Borsa, le banche e le assicurazioni con sede nel Vecchio Continente dovranno pubblicare informazioni di natura sociale e ambientale, così come prevede la Direttiva europea 95 del 2014. Il cammino di questa norma è stato accidentato. Nell’ottobre 2011 la Commissione Ue pubblica una Comunicazione che delinea la strategia comunitaria in materia di responsabilità sociale, riconoscendo per la prima volta che la materia dev’essere regolamentata: le iniziative volontarie delle imprese non bastano
Grazie all’appoggio del Parlamento europeo, un anno e mezzo dopo, la Commissione Ue presenta una proposta di Direttiva che obbliga tutte le aziende con sede nei 28 Stati membri e con oltre 500 dipendenti a pubblicare informazioni di natura sociale e ambientale. La proposta, voluta fortemente dall’allora Commissario al mercato interno, il francese Michel Barnier, si scontra con la ferma opposizione del governo tedesco. Berlino lamenta l’onere eccessivo che la nuova norma avrebbe sulle proprie medie imprese, le cui dimensioni rientrano nell’ambito di applicazione. Il “nein” della Germania è, però, controbilanciato dall’appoggio dato a Barnier non solo dalla Francia ma anche dalla Danimarca e dal Regno Unito, Paesi dove da tempo le aziende sono tenute alla rendicontazione non finanziaria. Nell’ottobre 2014, dopo una lunga discussione, la proposta è finalmente approvata, ma Barnier deve pagare a Berlino il prezzo di escludere dall'ambito di applicazione una grossa fetta del sistema imprenditoriale comunitario. La Direttiva 2014/95, infatti, mantiene l’obbligo solo per le società di pubblico interesse (quotate in Borsa, banche e assicurazioni) con più di 500 addetti, un attivo superiore ai 20 milioni di euro e/o 40 milioni di euro di ricavi. Si stima che sono interessate circa 6mila aziende europee (contro le 18mila previste dalla proposta Barnier), 270-280 delle quali italiane.
Sono tre gli aspetti più interessanti della norma, che modifica la precedente Direttiva 2013/34, relativa ai bilanci d’esercizio e consolidati di alcune tipologie di imprese. Innanzitutto, prevede che le informazioni non finanziarie debbano riguardare tutta la catena del valore di un’impresa, dalla casa madre fino alla subfornitura.
Condizioni di lavoro, riduzione e smaltimento dei rifiuti, rispetto dei diritti umani, lotta alla corruzione e politiche di governance sono soltanto alcuni dei temi sociali e ambientali sui quali l'impresa deve fare trasparenza anche riguardo ai fornitori. La norma Ue, inoltre, fa proprio il principio del “comply or explain” (“rispetta o spiega perché non lo fai”), in base al quale un’azienda può anche rifiutarsi di divulgare dati e notizie di natura sociale e ambientale ma in questo caso deve motivare adeguatamente le ragioni del proprio “no”. Un terzo aspetto importante è il legame che la normativa comunitaria istituisce fra la qualità dell’informazione non finanziaria e la responsabilità che un’impresa ha di comunicare l’impatto delle proprie azioni e decisioni sulla società e sull’ambiente (la Corporate social responsibility, Csr; in italiano, Responsabilità sociale d’impresa). In pratica, questo significa che la scelta del tipo di informazione da pubblicare dipende da un processo interno all’azienda, che soppesa i rischi reali e potenziali del proprio operato e ne rende conto di fronte alla platea degli stakeholder (i portatori di interesse): amministrazioni pubbliche, lavoratori, società civile, comunità locali.
La parola ora passa agli Stati membri, che devono trasporre la Direttiva nel proprio ordinamento nazionale entro il 6 dicembre. I governi hanno margini per il recepimento piuttosto ampi, considerando per di più che le Linee guida promesse dalla Commissione europea su questa materia non sono ancora state pubblicate. Gli investitori più avveduti e le organizzazioni della società civile si sono già mosse, chiedendo che gli Stati estendano l’ambito di applicazione o introducano, a esempio, delle sanzioni in caso di inosservanza della Direttiva. La norma, infatti, non ne prevede alcuna né se un’impresa che rientra nell’ambito di applicazione ne ignora i dettami né se pubblica dati e notizie sociali e ambientali non veritiere. Quattro Paesi (Danimarca, Estonia, Finlandia e Grecia) hanno già completato l’iter, mentre non è ancora chiara la posizione post Brexit di Londra, dove, peraltro, da dieci anni il Companies’ Act richiede alle società quotate di divulgare i dati sulle emissioni di gas effetto serra. In Italia, lo schema di decreto legislativo appena approvato dal Consiglio dei ministri va al di là della normativa comunitaria principalmente su due punti. In primo luogo, introduce le sanzioni in caso sia di inosservanza che di informazione non veritiera. Inoltre, prevede una verifica dei contenuti dell’informazione non finanziaria, affidata a chi effettua la revisione legale del bilancio. E' importante notare che Italia e Francia sono gli unici due Paesi Ue che si sono posti al momento della trasposizione il delicato tema della verifica. Anche se non abbassa l’ambito di applicazione, lo schema di decreto italiano stabilisce, infine, che le imprese al di sotto dei 500 dipendenti possano volontariamente conformarsi alla Direttiva.
I pareri sull'efficacia della Direttiva sono discordi. Alcuni, come Elio Silva sulle pagine del quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore”, ritengono che la norma comunitaria farà diventare strategica la Responsabilità sociale all'interno delle imprese europee. Altri, come Daniel Kinderman in un articolo comparso sul blog della Law school della Columbia University di New York, temono che la Direttiva, senza un’interpretazione estensiva a livello nazionale, si trasformi in una “tigre di carta”. L'ardua sentenza sulla reale portata della norma non la daranno, però, i posteri: in un mondo in continua trasformazione il suo impatto sull'industria e sui servizi europei apparirà chiaro già a breve.
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